Giugno, tempo di rosati

di Guido Montaldo


È il primo vino della nuova vendemmia e nonostante alcune tipologie siano in vendita già da marzo, la primavera inoltrata diventa il momento migliore per scoprirne le affascinanti peculiarità.

Da ricordare sempre, che il rosato è un vino ottenuto da uve rosse, grazie a diverse tecnologie (vinificazione in bianco, salasso, alzata di cappello), e non un’unione “eretica” tra vini bianchi e rossi, come credono in molti.

In ogni regione, grazie ai vitigni autoctoni, nascono vini rosati diversissimi tra loro con caratteristiche più affascinanti, che discutibili.

Nell’immaginario quando si parla di rosato si pensa subito al Sud, mentre in Valle d’Aosta si producono vini rosati con uve di nebbiolo e barbera. Il Chiaretto è invece il rosato che unisce, o divide a secondo dei pareri, il Lago di Garda. Sulla sponda bresciana, il Chiaretto della Valtenesi prende il nome di “vino di una notte”, perchè, ottenuto da groppello, marzemino, sangiovese e barbera, viene prodotto in 24 ore con l’alzata di cappello.

Sul Garda veronese si chiama Bardolino Chiaretto e si produce con un uvaggio di corvina, molinara e rondinella, simile a quello del Valpolicella Doc.

In Trentino per i rosati si utilizzano teroldego e schiava, ma anche il lagrein che ha origini più altoatesine, dove si chiama kretzer. In Alto Adige è un vino popolare, buono da bersi in qualsiasi occasione.

Anche nelle Marche, patria del verdicchio e del rosso Conero, non mancano i rosati di buona struttura, sempre più utilizzati ad esempio sulla costa adriatica, come abbinamento ideale con il brodetto anconetano, ma anche con altre zuppe di pesce.

In Abruzzo troviamo una vera e propria cultura del rosato, che si esprime con il cerasuolo derivato dalla vinificazione del montepulciano. Le guide sono unanimi nel considerare il cerasuolo tra i dieci rosati più buoni d’Italia, il mercato è invogliato dal fatto che questa tipologia di vino è forse più un rosso leggero, che un vero e proprio rosato, da bere fresco e allo stesso tempo presenta un rapporto prezzo/qualità vincente.

In una terra di grandi rossi come la Toscana, i rosati non sono più una prerogativa di Bolgheri. Anche la Campagna è terra di rosati, che si esprimono con vitigni originali come il  Lacryma Christi del Vesuvio o l’Aglianico del Taburno.

La Puglia la fa da padrone nella produzione dei rosati: i migliori d’Italia a leggere le guide. Le uve utilizzate sono sempre autoctone, come il bombino nero nella zona di Castellamonte e il negroamaro e la malvasia nera nel Salento.

In Calabria il rosato è soprattutto Cirò, ma  si fanno avanti anche nuove interpretazioni come il rosato Terre Lontane di Librandi, da uve di gaglioppo (70%) e cabernet franc.

La Sicilia si sta riscoprendo terra non solo di bianchi, ma anche di rosati, rigorosamente da vitigni autoctoni, come Lumera di Donnafugata. Come si possono accompagnare dei piatti

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